Guida alle pratiche edilizie necessarie per ristrutturare casa

di Alessandro Mezzina

Guida alle pratiche edilizie necessarie per ristrutturare casa

Nell’articolo di questo mese affrontiamo un tema spesso vissuto come una seccatura durante le ristrutturazioni: la burocrazia. Che nel nostro caso sono principalmente le pratiche edilizie (ma vedremo che non è solo così)

Scopriremo come non è sempre necessario fare una pratica edilizia per ristrutturare casa, anche se oggettivamente nella maggior parte dei casi lo diventa. Vedremo inoltre tutta la documentazione di contorno che può essere necessario allegare a un procedimento edilizio e anche la documentazione che non deve essere inserita ma potrebbe essere richiesta.
Abbiamo inserito molti condizionali perché la legge prevede tante casistiche, e cercheremo di affrontare tutte le più importanti nel limite del possibile. C’è da evidenziare però che la materia edilizia è sì disciplinata a livello nazionale, ma lo è anche a livello regionale e comunale, quindi una disamina completa risulta impossibile.

Dall’altro lato la buona notizia è che varie modifiche normative negli ultimi anni hanno reso più snelli i procedimenti per ristrutturare: oggi si può presentare la pratica edilizia e iniziare i lavori lo stesso giorno. Questo non significa che oggi decido di ristrutturare, presento la pratica e inizio i lavori; ci vuole comunque del tempo per predisporre tutta la documentazione (in realtà ci vuole del tempo per predisporre un progetto efficace, ma non è tema di questo articolo) e farlo nel modo corretto è essenziale. 

Chiaramente non si tratta di aspetti di cui si può occupare un committente, sono specialistici e richiedono una conoscenza approfondita della normativa, ma avere un quadro generale di come funziona la burocrazia italiana in una ristrutturazione è senza dubbio utile. E lo è soprattutto in relazione ad un tema molto sentito ultimamente: le detrazioni fiscali. Infatti, presupposto obbligatorio per poter fruire delle detrazioni fiscali, è che la casa sia in regola. Quindi lavori eseguiti senza pratica edilizia quando era necessaria, o con pratiche edilizie incomplete e/o sbagliate, non hanno diritto alle detrazioni fiscali, che possono essere revocate dall’Agenzia delle Entrate fino a cinque anni dopo quello di godimento, anche con la restituzione delle somme già godute. Considerando che normalmente le detrazioni fiscali si spalmano su dieci anni diventa un periodo di tempo significativamente lungo in cui l’Agenzia può intervenire. Ad ogni modo non è il caso di allarmarsi, vedremo come le cose sono più semplici di quello che si possa pensare.
Per comprendere correttamente se e quale pratica edilizia sia necessaria per ristrutturare è prima di tutto importante capire come funziona la burocrazia italiana in campo edile.

Come funziona la burocrazia edilizia: il Testo Unico dell’Edilizia 

Il riferimento legislativo italiano per tutto ciò che riguarda i procedimenti edilizi privati è il Testo Unico dell’Edilizia (che da adesso abbrevieremo in T.U.E.), D.P.R. 380/2001.

In questa legge non si parla solo di ristrutturazioni ma di tutte le opere edilizie che è possibile eseguire, quindi anche di nuove costruzioni. Gli articoli dedicati alle ristrutturazioni sono limitati, anche perché rappresentano interventi tutto sommato abbastanza semplici e poco influenti sull’assetto edilizio. Quello che è importante comprendere è come ragiona la legge. In sostanza gli interventi edilizi sono stati raggruppati in sei categorie di intervento. A queste categorie di intervento sono stati associati dei procedimenti edilizi.
Quindi, per capire se e quale procedimento edilizio è necessario fare in una ristrutturazione si deve partire dalle opere da eseguire, verificare in quale categoria di intervento ricadano e di conseguenza applicare il procedimento edilizio corretto.

Le sei categorie di intervento sono disciplinate all’articolo 3 del T.U.E. e sono:

  • Manutenzione Ordinaria
  • Manutenzione Straordinaria
  • Restauro e Risanamento Conservativo
  • Ristrutturazione Edilizia
  • Nuova Costruzione 
  • Ristrutturazione Urbanistica

Dato per scontato che le ultime due non hanno nulla (o quasi) a che fare con la ristrutturazione, le opere che generalmente vengono eseguite in una ristrutturazione rientrano in una delle prime quattro categorie. A differenza di quello che si può pensare non si tratta della Ristrutturazione Edilizia, che sostanzialmente riguarda opere di demolizione e ricostruzione di edifici, oppure di modifiche dei prospetti. Tutti interventi che vengono eseguiti raramente in una ristrutturazione. Le categorie di intervento che ci interessano sono la Manutenzione Ordinaria e la Manutenzione Straordinaria.
Il Restauro e Risanamento Conservativo invece è una categoria riservata agli edifici vincolati, quindi riguardano una porzione minima dei fabbricati rispetto al totale degli edifici costruiti.
Un punto importante da chiarire è che su un edificio, o su una determinata parte del territorio, non è possibile applicare sempre tutte le categorie di intervento: questi aspetti sono disciplinati dai Piani Regolatori Comunali. Quindi per sapere quali categorie di intervento sono applicabili al proprio immobile o terreno è necessario verificare le norme del PRG e la relativa cartografia.

Ad ogni modo le opere di Manutenzione Ordinaria e Manutenzione Straordinaria sono sempre consentite su tutti gli edifici esistenti, perché si tratta di interventi indispensabili a garantirne la funzionalità.

Chiaramente questo vale per edifici e unità immobiliari senza abusi e difformità. La legge dice chiaramente che se non è tutto in regola non è possibile fare alcun intervento edilizio ed eventuali lavori non fanno altro che reiterare l’abuso. In questi casi è necessario sanare la situazione prima di iniziare i lavori o, in caso di abuso insanabile, rimuoverlo. Ma qui ci addentriamo in un territorio minato e vastissimo che non è oggetto del presente articolo.
Fatta chiarezza su cosa e quali siano le categorie di intervento, approfondiamo le due che abbiamo detto essere di nostro interesse per capire quali lavori rientrano nell’una e nell’altra.

Manutenzione Ordinaria

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Questa è la definizione di Manutenzione Ordinaria che troviamo all’articolo 3 del T.U.E. «a) “interventi di manutenzione ordinaria”, gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti» In sostanza stiamo parlando di interventi che riguardano la sostituzione delle finiture, cioè pavimenti, rivestimenti, sanitari, porte, finestre, pitturazioni, etc. Tali lavori sono sempre presenti durante una ristrutturazione, ma nel prossimo paragrafo vedremo come, sebbene si tratti di opere di Manutenzione Ordinaria, possano venire assorbite nella categoria di intervento superiore.
Oltre a queste opere rientrano nella Manutenzione Ordinaria anche altri lavori. Tra i più significativi possiamo evidenziare il rifacimento degli intonaci, la realizzazione di controsoffitti, l’installazione di condizionatori per la climatizzazione estiva, di pannelli fotovoltaici e la riparazione di impianti esistenti.
Come vedremo è importante saper individuare correttamente gli interventi di Manutenzione Ordinaria anche in relazione alle pratiche edilizie.

Manutenzione Straordinaria

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A seguire il T.U.E. fornisce la definizione di Manutenzione Straordinaria, che è molto più articolata rispetto alla precedente. Eccola:

«b) “interventi di manutenzione straordinaria”, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono comprese anche le modifiche ai prospetti degli edifici legittimamente realizzati, necessarie per mantenere o acquisire l’agibilità dell’edificio ovvero per l’accesso allo stesso, che non pregiudichino il decoro architettonico dell’edificio, purché l’intervento risulti conforme alla vigente disciplina urbanistica ed edilizia e non abbia ad oggetto immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;»

Leggendo la definizione si può notare come le opere che rientrano in questa categoria di intervento sono di due tipologie: da un lato abbiamo i lavori edilizi ed impiantistici, dall’altro interventi rilevanti dal punto di vista urbanistico, cioè l’accorpamento e il frazionamento delle unità immobiliari. Questa ultima tipologia di interventi, fermo restando che è sempre accompagnata da lavori edili e/o impiantistici, rientra nella Manutenzione Straordinaria solo se non vengono contemporaneamente fatti cambi di destinazione d’uso.
Provo a spiegarmi: se vengono uniti due appartamenti stiamo eseguendo un intervento di Manutenzione Straordinaria, se invece stiamo unendo un appartamento e un negozio e quest’ultimo diventa appartamento stiamo eseguendo un intervento di Ristrutturazione Edilizia. Questo aspetto è importante ai fini dell’individuazione del corretto procedimento edilizio da attuare. Facciamo ora qualche riflessione sulle opere edili e impiantistiche che possono essere ricomprese nella Manutenzione Straordinaria. Il T.U.E. non ne fornisce un elenco, ma dalla definizione che abbiamo riportato è possibile risalirvi.

Infatti, la legge parla di “modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici”. Possiamo fare un primo distinguo tra opere edili e opere impiantistiche. All’interno delle prime rientrano sicuramente la demolizione e ricostruzione, anche in posizioni diverse, delle tramezzature interne non strutturali, intervento che consente di ridefinire la distribuzione interna della casa. Abbiamo poi gli interventi strutturali, che però si possono ricondurre solo a quelli di sostituzione e riparazione delle strutture esistenti. A titolo di esempio, riparare o sostituire un solaio ammalorato, un pilastro pericolante, aprire una porta in una muratura portante, sono tutte opere di manutenzione straordinaria. Invece, realizzare nuovi pilastri/murature/solai dove prima non c’erano, sono opere che rientrano in altre categorie di intervento.
Venendo agli impianti: la realizzazione, sostituzione o l’ampliamento di impianti esistenti sono tutte opere di manutenzione straordinaria.

Come è possibile intuire gran parte delle opere di manutenzione straordinaria che abbiamo appena elencato sono tipiche delle ristrutturazioni. Però è innegabile anche un altro aspetto che abbiamo già evidenziato: anche tutte le opere di manutenzione ordinaria sono tipiche delle ristrutturazioni.  A questo punto è utile chiarire un concetto: le categorie di intervento superiori incorporano categorie di intervento inferiori. Cioè: se sto eseguendo un intervento che normativamente rientra nella manutenzione straordinaria, come ad esempio la realizzazione di un tramezzo interno, anche tutti gli interventi che sarebbero stati di manutenzione ordinaria e che eseguo contemporaneamente, come la sostituzione del pavimento, vengono fatti rientrare nella manutenzione straordinaria.

Questo da un lato serve per semplificare la gestione burocratica degli interventi edilizi (con un’unica pratica edilizia vengono fatti tutti i lavori) e dall’altro è fondamentale per sfruttare le detrazioni fiscali anche per opere che altrimenti non ne avrebbero beneficiato. Infatti, la legge non permette di detrarre le opere di manutenzione ordinaria, a parte rare eccezioni, mentre consente di farlo per le opere di manutenzione straordinaria. 
Quindi, tornando all’esempio di prima, spostando il muro è possibile usufruire delle detrazioni fiscali anche per la sostituzione del pavimento, cosa non possibile se quest’opera viene fatta autonomamente. Detto delle categorie di intervento, e segnatamente delle due che interessano principalmente le ristrutturazioni, rimane da vedere quali pratiche edilizie vi sono associate. 

Ad ogni categoria di intervento la sua pratica edilizia

I procedimenti per eseguire i lavori edilizi sono disciplinati sempre dal T.U.E. e sono tre: CILA, SCIA e PdC. Sono acronimi che rispettivamente stanno per: Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata, Segnalazione Certificata di Inizio Attività, Permesso di Costruire. Vediamo come sono associati alle categorie di intervento.
In caso di opere rientranti nella Manutenzione Ordinaria non è necessario presentare alcuna pratica edilizia, infatti in questo caso stiamo parlando di edilizia libera. Attenzione però: alcuni Comuni possono comunque richiedere la presentazione di una comunicazione per determinati tipi di interventi rientranti nella Manutenzione Ordinaria, sarebbe quindi il caso di informarsi prima di eseguire lavori di questo genere.
Invece, in caso di opere rientranti nella Manutenzione Straordinaria, ma senza l’esecuzione di opere strutturali, la pratica edilizia da presentare è la CILA. In questo caso si dice che la Manutenzione Straordinaria è “leggera” ed è la classica tipologia di intervento della maggior parte delle ristrutturazioni.

Se vengono eseguite opere rientranti nella Manutenzione Straordinaria ma che prevedono anche l’esecuzione lavori strutturali, la pratica edilizia da presentare è la SCIA. In questo caso parliamo di Manutenzione Straordinaria “pesante”.
Nel caso di interventi ricompresi nel Restauro e Risanamento Conservativo viene fatta la stessa distinzione che abbiamo appena visto per la Manutenzione Straordinaria, quindi è necessario presentare una SCIA o una CILA a seconda della presenza o meno di opere strutturali.

Per gli interventi di Ristrutturazione Edilizia può essere richiesta una SCIA o un PdC e, infine, per gli interventi di Nuova Costruzione viene richiesto un PdC o, alternativamente, una SCIA in sostituzione del PdC.
Con questo abbiamo fatto una panoramica sintetica di come i procedimenti edilizi sono associati alle categorie di intervento. Ma abbiamo anche detto che la pratica più diffusa per ristrutturare è la CILA: vediamo in cosa consiste.    

La pratica edilizia più diffusa per ristrutturare: la CILA

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Abbiamo detto che CILA sta per Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata e che è la pratica edilizia da presentare nel caso in cui i lavori di ristrutturazione rientrino nella categoria di intervento della Manutenzione Straordinaria “leggera”, cioè senza opere strutturali.
In sostanza, se vengono demolite e rifatte murature internamente alla casa e/o se vengono sostituiti impianti tecnologici, è necessario presentare una CILA.

La CILA, come la SCIA, a livello legislativo è considerato un titolo-non-titolo: nel senso che, come dice il nome stesso, è una comunicazione e non una richiesta di autorizzazione. E, finché gli interventi che vengono eseguiti rientrano nell’ambito di quelli realizzabili con una CILA, non può essere impugnato dall’amministrazione comunale. Infatti, non viene rilasciata una specifica autorizzazione ad eseguire i lavori, come avviene per i Permessi di Costruire, e questi possono iniziare contestualmente alla presentazione della pratica. Detto ciò, nel presentare questa pratica edilizia, è necessario porre la medesima attenzione che per quelle di rango superiore. La prima cosa da evidenziare e che la CILA deve essere asseverata: cioè ci deve essere qualcuno che, apponendo un timbro e una firma, certifichi che tutto quello dichiarato nella pratica edilizia è corretto. Questo qualcuno è obbligatoriamente un tecnico abilitato: architetto, ingegnere o geometra.
Quindi, riassumendo, il contenuto della CILA sarà: 

  • la comunicazione resa su un modello a firma del titolare di diritti sull’immobile (proprietario, usufruttuario, locatario, etc.); 
  • l’asseverazione a firma del tecnico abilitato, anche questa resa su un modello; 
  • una serie di allegati.

I dati da inserire nella Comunicazione sono basilari: si parte dai dati anagrafici del proprietario (o di chi presenta la CILA in sua vece), dai dati dell’immobile, dalla tipologia di intervento che verrà eseguito, i dati di tutti i soggetti eventualmente coinvolti (comproprietari ad esempio), i dati del tecnico o dei tecnici progettisti e, infine, i dati dell’impresa a cui vengono affidati i lavori. Il progettista, nella sua asseverazione, deve fare alcune dichiarazioni più tecniche, ma che bene o male rispecchiano quanto presente nel modello della CILA.
Ci sono infine gli allegati.

Gli allegati minimi di una CILA

La documentazione base da allegare alla CILA è abbastanza contenuta. Prima di tutto vi sono i documenti di identità di tutti i soggetti coinvolti, dal titolare dell’intervento fino all’impresa esecutrice. Poi si prosegue con la ricevuta di versamento dei diritti di segreteria, una somma di denaro da versare all’amministrazione comunale per la gestione della pratica, solitamente contenuta tra i 50€ e i 300€. Tali tariffe sono determinate autonomamente dai Comuni, quindi non è possibile dare un importo preciso.
Vi sono poi gli elaborati progettuali, solitamente composti da una relazione, una pianta dello stato di fatto ed una pianta del progetto.
Questo è tutto per quanto riguarda la documentazione di base, però, a seconda della complessità dell’intervento previsto, può essere necessario allegare ulteriore documentazione.

In particolare, nel caso di rifacimento degli impianti, è necessario allegare le piante con gli schemi impiantistici. Quindi, se stiamo parlando del rifacimento di un impianto elettrico, si allegherà una pianta con rappresentata la posizione di interruttori, prese, punti luce, Tv, telefono, etc., mentre, se stiamo rifacendo l’impianto idrico, dovranno essere indicati tutti i carichi e scarichi, e così via per tutti gli impianti su cui si interviene. 
Vi sono poi degli allegati che possono o meno essere richiesti a seconda di disposizioni regionali o comunali. I più diffusi sono: 

  • Stima dei rifiuti prodotti dalle demolizioni con relativo contratto di discarica per lo smaltimento;
  • Dichiarazione di affidamento di incarico al tecnico con sua dichiarazione di avvenuto pagamento;
  • DURC dell’impresa con dichiarazione di contratto collettivo applicato; 
  • Titolo di proprietà dell’immobile;
  • Planimetria e visura catastale.

Farne un elenco esaustivo risulta difficile poiché, come abbiamo già detto, la disciplina edilizia, pur avendo una normativa nazionale, è ambito di competenza di Regioni e Comuni, che possono introdurre obblighi documentali non previsti in ambito nazionale.
Fatta una panoramica sulla documentazione base che solitamente viene allegata ad una CILA, è importante spendere qualche parola su tutta una serie di documenti di contorno, che in parte devono essere allegati alla pratica edilizia e in parte no, e che possono diventare obbligatori al verificarsi di determinate condizioni. 

La burocrazia di contorno (non sempre obbligatoria)

La normativa edilizia è complessa e strutturata, si potrebbe scrivere un libro su tutto ciò che potrebbe essere necessario produrre per un intervento in fondo semplice come la ristrutturazione di una casa. Concentriamoci però su quella che viene richiesta più di frequente:

  • Notifica preliminare
  • Piano di sicurezza
  • Relazione ex. Legge 10
  • Pratica al genio civile

Partiamo dall’ultimo punto e diciamo che la pratica al genio civile è necessaria esclusivamente se vengono eseguite opere strutturali, quindi nel caso in cui non siamo in regime di CILA ma di SCIA. Però, sebbene non molto frequenti, interventi quali la realizzazione di soppalchi abitabili, di aperture tra solai per la realizzazione di scale interne, o anche solo di rinforzo strutturale, sono abbastanza diffusi. In tutti questi casi è necessaria una specifica autorizzazione da parte dell’Ufficio Tecnico Regionale (ex Genio Civile), da ottenere sulla base di un progetto strutturale, solitamente predisposto da un ingegnere.
Fatto questo inciso, vediamo gli altri tre documenti e quando si rivelano indispensabili.

La notifica preliminare

La notifica preliminare è una comunicazione che deve fare il proprietario di casa (o il titolare della pratica edilizia) e che deve essere indirizzata all’ASL e all’Ispettorato del Lavoro. Quando necessaria, questa notifica deve essere inviata prima di presentare la pratica edilizia.Si tratta di un adempimento previsto dal Testo Unico della Sicurezza, il d.pr 81/2008, cioè la legge che tutela la sicurezza sui luoghi di lavoro. ASL e Ispettorato del Lavoro sono gli enti che hanno il compito di vigilare sull’effettiva sussistenza delle condizioni di sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro (oltre alla presenza di lavoratori in nero). E un cantiere è un luogo di lavoro.
La notifica ha lo scopo di comunicare a tali enti che verrà aperto un nuovo cantiere e si tratta di un documento relativamente semplice da predisporre: contiene i dati anagrafici del cantiere, del proprietario, dei tecnici e delle imprese coinvolte, la durata presunta dei lavori e l’importo degli stessi.

In realtà tale notifica non è sempre indispensabile ma solo nei seguenti casi:

  • I lavori superano complessivamente i 200 uomini/giorno
  • i lavori sono affidati a più di un’impresa.

Il primo caso avviene di rado nell’ambito della ristrutturazione, mentre il secondo avviene quasi sempre. Ed è importante comprendere questo aspetto. Infatti, non bisogna confondere il numero di imprese a cui si appaltano i lavori con il numero di imprese effettivamente presenti in cantiere. Quasi sempre infatti viene fatto un unico contratto per i lavori di ristrutturazione affidandoli ad una sola impresa. Però le imprese che si occupano di ristrutturazione solitamente non hanno alle proprie dipendenze tutte le maestranze necessarie per realizzare i lavori, in particolare mancano sempre di impiantisti. Quindi subappaltano parte dei lavori facendo sì che all’atto pratico in cantiere siano presenti due o più imprese: ecco che scatta l’obbligo di notifica preliminare. Quindi, prima di avviare i lavori, è importante informarsi se l’impresa appaltatrice ne subappalterà una parte.

C’è un aspetto da evidenziare, che è stato chiarito anche in molte sentenze che si sono susseguite negli anni: la mancanza della notifica preliminare, qualora fosse obbligatoria, è una delle condizioni che fa perdere il diritto alle detrazioni fiscali. E verificare, anche molti anni dopo che i lavori sono finiti, la necessità della notifica preliminare è semplice: basta guardare le dichiarazioni di conformità degli impianti, che possono essere rilasciati solo dalle figure abilitate che li hanno realizzati. Quindi bisogna porre attenzione. Però la presentazione della notifica preliminare fa scattare altri obblighi in materia di sicurezza.

La nomina del coordinatore della sicurezza e il Piano di sicurezza

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Abbiamo detto che l’invio della notifica preliminare sta a significare la presenza di più imprese sul cantiere e/o la durata dei lavori oltre i 200 uomini-giorno. Queste condizioni sono anche quelle che fanno scattare altri obblighi sanciti sempre dal Testo Unico della Sicurezza, e di cui il proprietario di casa è il primo responsabile. Il principale è nominare il Coordinatore per la Sicurezza il cui scopo è vigilare proprio che durante i lavori vengano rispettate le condizioni di sicurezza nel cantiere. Tale figura è un tecnico abilitato che ha seguito uno specifico corso, quindi non tutti i tecnici possono svolgere questo ruolo.

Una volta nominata tale figura nascono a cascata una serie di altri obblighi, che però investono principalmente il Coordinatore della Sicurezza e le imprese coinvolte: stiamo parlando della predisposizione del Piano di Sicurezza e Coordinamento, abbreviato in PSC, a carico del Coordinatore, e della predisposizione dei Piani Operativi di Sicurezza, abbreviati in POS, a carico delle imprese.

Questi documenti in sostanza racchiudono tutte le regole di sicurezza da rispettare durante l’esecuzione dei lavori. Non vanno allegati alla pratica edilizia ma devono essere sempre presenti in cantiere per consultazione e controlli. Se, durante un controllo da parte dell’ASL o dell’Ispettorato del Lavoro, non sono presenti oppure le disposizioni contenute non sono rispettate, vengono emesse multe salate.

La relazione di contenimento dei consumi energetici

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Parliamo di un ultimo allegato che solitamente quando si ristruttura è obbligatorio in un solo caso: quando viene fatta una sostituzione completa dell’impianto di riscaldamento o ne viene installato uno nuovo qualora non fosse presente. Per rifacimento dell’impianto di riscaldamento intendiamo la sostituzione dei tre elementi principali di cui è composto: generatore (caldaia), sistema di distribuzione (le tubazioni) e sistema di emissione (termosifoni/ventilconvettori/etc.).

La relazione di contenimento dei consumi energetici (chiamata anche relazione ex legge 10 dalla prima legge che l’ha istituita, ora superata) va allegata alla pratica edilizia e sarà predisposta da un tecnico abilitato e, possibilmente, specializzato in progettazione di impianti e in efficienza energetica. Al suo interno sono riportati tutti i parametri che devono rispettare il nuovo impianto di riscaldamento e tutti i componenti che concorrono alla generazione di consumi energetici e su cui si interviene. Stiamo parlando di infissi, isolamenti, impianti rinnovabili, etc.
Attenzione ad un aspetto: tutti questi elementi, nel caso vengano sostituiti senza il contestuale rifacimento dell’impianto di riscaldamento, devono comunque rispettare dei parametri di efficienza energetica normati dalla legge. Tornando alla relazione, quello che troviamo al suo interno è in sostanza un calcolo: cioè il tecnico, sulla base delle caratteristiche dell’immobile e di tutte le componenti che verranno installate, determinerà il consumo energetico dell’immobile. Sulla base di tale calcolo è possibile determinare la classe energetica dell’immobile in seguito agli interventi di ristrutturazione.

La burocrazia alla fine dei lavori

Detto di tutto quanto bisogna fare prima di iniziare i lavori di ristrutturazione, non bisogna sottovalutare la chiusura burocratica dei lavori. Infatti, alla fine degli stessi devono essere prodotti e protocollati presso gli uffici competenti una serie di documenti. I principali sono:

  • variazione catastale
  • comunicazione di fine lavori
  • segnalazione certificata di agibilità

La variazione catastale

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La variazione catastale non è altro che la comunicazione all’agenzia del territorio (il catasto) della nuova distribuzione interna dell’immobile e deve essere fatta solo se sono state demolite/costruite/spostate pareti. Per intenderci: spostare una porta interna non comporta la necessità di fare la variazione catastale. In concomitanza con tale variazione viene anche effettuato il ricalcolo della rendita catastale, che si basa sul numero, superficie e tipologia di ambienti presenti in casa. Tale variazione viene solitamente fatta da un geometra e viene presentata alla fine dei lavori.

Comunicazione di fine lavori 

Il principale adempimento però è la comunicazione di fine lavori (CFL). Si tratta di un documento abbastanza semplice da presentare, basato su un modello valido a livello nazionale, che è a carico del titolare della pratica edilizia. In sostanza, al suo interno si comunica ufficialmente la chiusura della CILA aperta. Ad essa deve essere obbligatoriamente allegata una planimetria della casa per come effettivamente realizzata: se vi sono state modifiche in corso d’opera è questo il momento di comunicarle. Potrà essere obbligatorio allegare altri documenti a questa comunicazione, normati dalle Regioni e dai Comuni. Spesso viene richiesto di allegare i certificati di discarica con i rapporti di prova sui materiali smaltiti e una sintesi delle quantità di materiale effettivamente demolite.  
Un altro documento che può essere richiesto è la nuova planimetria catastale, che quindi deve essere presentata al catasto prima della fine lavori. Ad ogni modo si tratta di un adempimento abbastanza banale, a differenza di quello di cui parleremo nel prossimo paragrafo.

Segnalazione certificata di agibilità

Alla fine di una ristrutturazione deve quasi sempre essere rifatta l’agibilità, che da alcuni anni non è più un certificato rilasciato dal Comune ma una segnalazione fatta dal proprietario (e asseverata da un tecnico abilitato).
Sul tema agibilità c’è ancora molta confusione, a partire da scambiarlo con l’abitabilità. Quest’ultimo documento non esiste più dal 2001, anno in cui è stato pubblicato il T.U.E.. Precedentemente esisteva una disciplina separata per immobili residenziali (abitabilità) e per immobili commerciali/industriali/etc. (agibilità), ma si trattava di documenti che in sostanza sancivano la medesima cosa: cioè che l’edificio fosse idoneo ad essere utilizzato per gli scopi a cui era stato costruito. Con il d.pr. 380/2001 si è ritenuto di superare questa distinzione e accorpare tutto nella disciplina unica dell’agibilità. Quindi oggi, anche per edifici residenziali, non si presenta l’abitabilità ma l’agibilità. Naturalmente i vecchi certificati di abitabilità rimangono validi fino al mutare delle condizioni che ne hanno sancito il rilascio.

Per capire come funziona la questione agibilità oggi, partiamo dal vedere cosa sancisce questo documento secondo la legge, cioè le “condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati” (art. 24, comma 1, d.pr. 380/2001). Quindi sostanzialmente è obbligatoria quando vengono sostituiti gli impianti (o realizzati di nuovi) e quando viene modificata la distribuzione interna della casa. 

Come per la CILA, esiste una modulistica nazionale unificata per la SCA, acronimo di Segnalazione Certificata di Agibilità. Tale modulistica prevede una sezione a carico del proprietario e una sezione a carico di un tecnico abilitato. Oltre alla modulistica devono essere allegati alla SCA una serie di documenti:

  • Documenti di identità del titolare e del tecnico asseveratore
  • Pagamento dei diritti di segreteria
  • Planimetria e visura catastale
  • Piantina della casa (conforme a quella allegata alla comunicazione di fine lavori)
  • Attestato di Prestazione Energetica (A.P.E.)
  • Dichiarazione di conformità degli impianti sostituiti/realizzati
  • Dichiarazione di rispondenza per tutti gli impianti non interessati da interventi
  • Certificato di collaudo statico se si tratta della prima agibilità dell’immobile

Attenzione ad un aspetto: la SCA può fungere anche da dichiarazione di fine lavori della pratica edilizia con cui si è ristrutturato. Vi è un’apposita sezione nella modulistica che consente questa opzione. In tal caso va allegata alla SCA anche tutta la documentazione richiesta per la fine lavori. Abbiamo trattato fine lavori e agibilità in paragrafi separati perché non tutti i Comuni accettano la SCA come fine lavori. 

Capita ancora spesso che, a valle di una ristrutturazione, non venga presentata la SCA. Sottolineando che, come abbiamo chiarito poche righe sopra, non è sempre necessaria, quando lo è sarebbe meglio ottemperare a tale obbligo. Il motivo non sono tanto le multe per mancata presentazione, pari a poco più di cinquecento euro, quanto i possibili problemi in caso di sua assenza, in particolare in caso di compravendita dell’immobile. Infatti, pur non essendo un documento necessario, viene sempre più spesso richiesto da acquirenti e notai al fine di valutare la conformità urbanistica dell’immobile, cioè l’assenza di abusi.

Pratica edilizia per ristrutturare semplice, tutto ciò che ci ruota attorno complesso

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L’agibilità è il documento che virtualmente chiude una ristrutturazione.

In questo articolo abbiamo fatto una panoramica su come funziona la burocrazia edilizia in Italia, concentrandoci su quella legata alla ristrutturazione. Abbiamo in visto che la pratica edilizia corretta nella maggior parte delle ristrutturazioni è la CILA. Si tratta di un procedimento relativamente recente nell’ordinamento italiano, ha circa una decina d’anni, e innegabilmente ha portato ad una sostanziale semplificazione rispetto ai regimi precedenti. 

Questa semplificazione del procedimento edilizio, però, è stato affiancato dal nascere e articolarsi di una serie di norme collaterali che hanno reso più complesso stabilire nel modo corretto tutta la documentazione di contorno da produrre (o meno) quando si ristruttura. Stima dei rifiuti, contratti di discarica, attestazioni di pagamento, piani di sicurezza, etc. sono tutti documenti che si sono aggiunti negli anni, che non sono sempre indispensabili ma che sono determinanti per la correttezza amministrativa di una ristrutturazione.

Ora ci troviamo nella situazione in cui abbiamo un procedimento edilizio oggettivamente semplice ma una serie di allegati complesso e articolato, che risulta importante predisporre nel modo corretto, soprattutto in ottica detrazioni fiscali. Infatti, l’Agenzia delle Entrate non fa sconti: se da un controllo emerge l’assenza di documenti obbligatori oppure errori importanti in quelli presentati c’è il serio pericolo di vedersi revocate le detrazioni. Questo non deve spaventare ma rendere consapevoli che la figura del tecnico (o dei tecnici) diventa essenziale, non solo per le sue capacità progettuali, ma anche per la sua capacità di portare a termine il procedimento amministrativo nel modo corretto.

Alessandro Mezzina

Architetto e autore di www.ristrutturazionepratica.it

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